L'eloquenza dei simboli. La «Tempesta»: commento sulle allegorie poetiche di Giorgione - E. Wind

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L'eloquenza dei simboli. La «Tempesta»: commento sulle allegorie poetiche di Giorgione - E. Wind

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L'eloquenza dei simboli. La «Tempesta»: commento sulle allegorie poetiche di Giorgione
Traduzione di Enrico Colli
Il ramo d'oro, 19
1992, 2ª ediz., pp. 356, 116 tavv.

Di qualsiasi tema si occupasse – come è ben noto ai lettori dei Misteri pagani nel Rinascimento e di Arte e anarchia –, Edgar Wind sapeva risalire dall’immagine artistica non solo a certi significati che la sottendono (come avviene nella più comune ricerca iconologica), ma ben più dietro, sino a quella misteriosa macchina della mente da cui le immagini scaturiscono. E in questo si può dire che Wind sia stato il più illuminato prosecutore dell’opera di Aby Warburg (al quale fra l’altro viene dedicato in questo libro uno splendido profilo, oltre che una rivendicazione polemica, che prende spunto dalla «biografia intellettuale» a lui dedicata da Gombrich). Questo volume raccoglie una serie di importanti saggi apparsi sotto lo stesso titolo nel 1983, con l’aggiunta della monografia sulla Tempesta di Giorgione, che è del 1969. I temi sono svariati – e vi si intrecciano molte fila di tutta la ricerca di Wind: dall’analisi di opere di Giorgione, Botticelli, Donatello (e perciò dall’ambito del Rinascimento italiano, che fu il terreno prediletto di Wind) sino alla filosofia dell’arte in Platone (con le sue risonanze nel moderno, in Friedrich Schlegel come in Oscar Wilde), o alla visione simbolica e religiosa di Rouault e Matisse. Ma la domanda costante – e l’intenzione pervasiva – di tutto il libro è quella che ci appare dalla sua pagina iniziale, dove Wind ha osato spiegare, con memorabile sprezzatura, a che cosa servono i simboli: «Un autore molto conosciuto, che ostenta di non amare l’uso dei simboli, si dice abbia chiesto: “Che cos’è un simbolo? Dire una cosa e intenderne un’altra. Perché non dirla direttamente?”. Per la semplice ragione che certi fenomeni tendono a dissolversi se li avviciniamo senza cerimonie. Dire pane al pane può essere un’ottima abitudine, ma non avrebbe senso fingere che il discorso debba limitarsi a definire la natura del pane. Il sacro, il sublime, l’inquietante, il leggiadro, il comico, il compassionevole (per dirne solo alcuni), sono argomenti inafferrabili che può darsi svaniscano se cerchiamo di definirli direttamente. Un simbolo, invece, parla per allusione, dice una cosa e ne intende un’altra, quindi trattiene ciò che una definizione semplice e chiara distruggerebbe. “Noi siamo della materia di cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita si chiude in un sonno”. Trasporre in un linguaggio preciso questa magica frase darebbe più problemi di quanto non sembri ... Al centro di ogni buon simbolo c’è un nucleo oscuro che non cederà a un’analisi razionale, anche se attorno a questo nucleo possono raggrupparsi immagini trasparenti che da esso traggono la loro forza e la loro intensità.
«Forse sarebbe bello credere che una affermazione diretta sia sempre più breve, più facile da ricordare e più precisa rispetto a un’affermazione indiretta; a me invece sembra che un buon simbolo dimostri che è vero il contrario. In virtù della sua obliquità, infatti, esso conserva suggestioni recondite che un’affermazione semplice e chiara elude o dissolve; per questa ragione un’affermazione metaforica è spesso la più precisa. Ed è anche la più compatta, perché una metafora condensa e contrae laddove la definizione letterale è costretta a dilungarsi».
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